Umaro Sissico Embalò, ex presidente della Guinea Bissau
La Guinea-Bissau è tornata al centro dell’attenzione internazionale dopo l’ennesima crisi politica che ha scosso il piccolo Stato dell’Africa occidentale. Il 26 novembre, a poche ore dalla diffusione dei risultati delle elezioni presidenziali, un gruppo di militari ha messo fuori gioco il presidente uscente, Umaro Sissoco Embaló, annunciando la deposizione del capo di Stato e assumendo il controllo del paese. L’episodio, purtroppo non inedito in una nazione che ha già vissuto numerosi golpe, ha però assunto contorni particolarmente ambigui, tanto da spingere diversi osservatori a parlare di un “colpo di Stato dai contorni surreali”, forse orchestrato proprio da chi ufficialmente ne sarebbe la vittima.
Nel corso dei giorni successivi, le dinamiche interne, le reazioni regionali e le mosse dei protagonisti hanno contribuito a rendere il quadro ancora più complesso. Il 1° dicembre una delegazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, meglio nota come Cedeao o Ecowas, si è recata a Bissau per incontrare i membri della giunta militare guidata dal generale Horta N’Tam. La delegazione, come prevedibile, ha condannato fermamente la presa di potere e ha chiesto il ripristino immediato dell’ordine costituzionale, ribadendo la posizione storica dell’organizzazione, ormai sempre più impegnata nella difficile missione di contenere l’ondata di colpi di Stato che negli ultimi anni ha colpito l’intera regione.
Il generale N’Tam, figura poco conosciuta al grande pubblico ma influente negli ambienti delle forze armate guineane, ha annunciato una transizione di un anno, giustificando il golpe come “necessario per sventare un piano di destabilizzazione orchestrato dai signori della droga”. Una dichiarazione che non ha stupito chi conosce la storia della Guinea-Bissau, paese spesso descritto come un hub del narcotraffico internazionale, un luogo in cui le fragili istituzioni si intrecciano con reti criminali transnazionali che sfruttano la posizione geografica del paese per far transitare i carichi di cocaina dal Sud America verso l’Europa. Tuttavia, questa spiegazione non è bastata a convincere né la comunità internazionale né la stampa estera, che hanno rapidamente iniziato a sollevare dubbi sulla reale natura degli eventi.
Secondo quanto riportato da diverse fonti internazionali, tra cui un dettagliato articolo della Bbc che sta circolando con insistenza, molti elementi farebbero pensare che il golpe non sia stato un vero tentativo dei militari di spodestare Embaló, ma un’operazione politica costruita per mantenere il potere nelle mani dei suoi alleati. Una tesi che, inizialmente considerata marginale, ha acquisito forza nelle ore successive grazie a una serie di circostanze difficili da ignorare.
La prima riguarda proprio la fuga dei due principali protagonisti politici: Umaro Sissoco Embaló e il suo rivale Fernando Dias da Costa. Entrambi sono riusciti ad abbandonare il paese senza apparenti difficoltà, un dettaglio che ha alimentato molti sospetti. Embaló è arrivato in Congo dopo essere transitato dal Senegal, mentre Dias da Costa si trova in Nigeria. Se è comprensibile che i due candidati alla presidenza potessero essere in pericolo dopo un golpe, la facilità con cui sono fuggiti ha attirato l’attenzione di chi conosce le procedure di sicurezza e di controllo che solitamente accompagnano eventi di questo tipo. In molti si sono chiesti perché una giunta militare determinata a prendere il potere avrebbe permesso contemporaneamente al presidente uscente e al suo principale rivale di mettersi in salvo, rompendo così un equilibrio che normalmente i golpisti tentano di controllare strettamente.
Un secondo elemento sospetto riguarda la rapidità con cui la giunta ha presentato la sua versione dei fatti, legando la deposizione del presidente a presunti complotti dei cartelli della droga. La Guinea-Bissau, come già accennato, è da anni considerata un nodo nevralgico delle rotte del narcotraffico e la narrativa del golpe “antisistema criminale” potrebbe risultare perfetta per ottenere, almeno inizialmente, una certa tolleranza internazionale. Secondo alcuni analisti, tuttavia, si tratterebbe più di una giustificazione costruita a posteriori che di una reale motivazione.
A confermare i sospetti ci sono anche le dichiarazioni di due figure di primo piano della politica regionale: Ousmane Sonko, primo ministro del Senegal, e l’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan. Entrambi hanno affermato apertamente che il golpe in Guinea-Bissau porta la firma di Embaló stesso, convinti che il presidente uscente abbia tentato una mossa estrema per influenzare gli equilibri del potere interno dopo un voto che rischiava di non confermargli il ruolo di leader indiscusso del paese. Per Sonko si tratterebbe addirittura di un tentativo di manipolare la crisi per annientare i suoi oppositori e consolidare il controllo delle forze armate più vicine alla sua cerchia politica.
Embaló, figura controversa e carismatica, è arrivato alla presidenza nel 2020 dopo un percorso politico tutt’altro che lineare. Nei suoi anni al potere ha cercato di presentarsi come il leader che avrebbe riportato ordine e stabilità in un paese segnato da colpi di Stato, lotte intestine e infiltrazioni criminali. Ha sviluppato rapporti solidi con alcune potenze straniere e ha cercato di porsi come interlocutore affidabile nella regione. Allo stesso tempo, però, è stato accusato da più parti di centralizzare eccessivamente il potere, marginalizzare l’opposizione e manipolare le istituzioni democratiche a proprio vantaggio. La sua figura è dunque sempre stata divisiva, e la possibilità che abbia orchestrato un golpe “a proprio uso e consumo” non appare del tutto irrealistica a molti osservatori.
Intanto, mentre la Guinea-Bissau si avvicina al punto più critico della crisi, la Cedeao si trova di fronte a un nuovo test di credibilità. Negli ultimi anni l’organizzazione ha affrontato una serie di colpi di Stato in Mali, Guinea, Burkina Faso e Niger, spesso con risultati modesti. Le sanzioni, le missioni diplomatiche e le pressioni politiche non sempre sono riuscite a invertire la rotta, e il rischio è che la regione stia entrando in una fase di instabilità strutturale in cui i golpe diventano strumenti politici ordinari. Il caso della Guinea-Bissau, se confermate le ipotesi più sospette, potrebbe rappresentare una variante ancora più insidiosa: non un colpo di Stato per rovesciare il potere esistente, ma una messinscena per rafforzarlo.
Il ruolo delle forze armate è un altro elemento chiave in questa vicenda. La Guinea-Bissau ha una lunga storia di ingerenze militari nella politica nazionale, spesso determinate da rivalità interne, lotte claniche e influenze esterne. Il generale Horta N’Tam, che ora guida la giunta, non è un personaggio sconosciuto negli ambienti militari, ma il suo rapporto con Embaló non è mai stato del tutto chiarito. Alcuni sostengono che fosse a lui fedele; altri parlano di una rivalità latente. Tuttavia, la struttura del golpe e le sue tempistiche inducono molti a credere che i due non fossero così distanti come potrebbe sembrare.
Sul piano interno, la popolazione appare divisa e disorientata. Dopo anni segnati da instabilità cronica, molti cittadini hanno accolto con diffidenza le dichiarazioni dei militari, mentre altri hanno manifestato apertamente la loro sfiducia verso l’intera classe politica, considerata incapace di costruire istituzioni credibili e un sistema rispettoso delle regole democratiche. L’assenza di segnali chiari sulla data delle elezioni e sulle modalità della transizione rischia di acuire le tensioni sociali, alimentando nuove fratture.
Gli osservatori internazionali, pur mantenendo un atteggiamento prudente, sono unanimi nel sottolineare l’urgenza di un intervento deciso da parte della comunità internazionale. Il rischio è che la Guinea-Bissau scivoli in una spirale di instabilità ancora più grave, con implicazioni regionali che potrebbero coinvolgere altri paesi dell’Africa occidentale. La questione del narcotraffico rende lo scenario ancora più pericoloso, perché attori esterni potrebbero sfruttare il caos politico per rafforzare le loro attività nel paese.
Nei prossimi mesi sarà fondamentale capire se la giunta guidata da Horta N’Tam manterrà la promessa di una transizione limitata nel tempo o se, come molti temono, cercherà di prolungare il proprio controllo con nuove giustificazioni. Le posizioni della Cedeao, dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite saranno cruciali per esercitare una pressione efficace e dare un segnale chiaro contro il ricorso sistematico ai colpi di Stato come strumento politico.
Quella della Guinea-Bissau non è solo una storia di potere e ambizione personale, ma anche il capitolo più recente di un percorso tormentato in cui istituzioni fragili, interessi criminali e rivalità politiche si intrecciano in un equilibrio precario. Se davvero si scoprisse che il golpe è stato imbastito dal presidente stesso per garantire la sopravvivenza del proprio sistema di potere, ci troveremmo di fronte a uno scenario inedito, che metterebbe ulteriormente alla prova la capacità delle organizzazioni regionali di affrontare crisi politiche sempre più complesse e opache.
Per ora restano aperte molte domande e poche certezze, mentre la Guinea-Bissau e i suoi cittadini attendono di conoscere il proprio destino in un contesto fragile, dove le prossime mosse dei protagonisti potrebbero determinare gli anni a venire.
Gli osservatori internazionali, pur mantenendo un atteggiamento prudente, sono unanimi nel sottolineare l’urgenza di un intervento deciso da parte della comunità internazionale. Il rischio è che la Guinea-Bissau scivoli in una spirale di instabilità ancora più grave, con implicazioni regionali che potrebbero coinvolgere altri paesi dell’Africa occidentale. La questione del narcotraffico rende lo scenario ancora più pericoloso, perché attori esterni potrebbero sfruttare il caos politico per rafforzare le loro attività nel paese.
Nei prossimi mesi sarà fondamentale capire se la giunta guidata da Horta N’Tam manterrà la promessa di una transizione limitata nel tempo o se, come molti temono, cercherà di prolungare il proprio controllo con nuove giustificazioni. Le posizioni della Cedeao, dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite saranno cruciali per esercitare una pressione efficace e dare un segnale chiaro contro il ricorso sistematico ai colpi di Stato come strumento politico.
Quella della Guinea-Bissau non è solo una storia di potere e ambizione personale, ma anche il capitolo più recente di un percorso tormentato in cui istituzioni fragili, interessi criminali e rivalità politiche si intrecciano in un equilibrio precario. Se davvero si scoprisse che il golpe è stato imbastito dal presidente stesso per garantire la sopravvivenza del proprio sistema di potere, ci troveremmo di fronte a uno scenario inedito, che metterebbe ulteriormente alla prova la capacità delle organizzazioni regionali di affrontare crisi politiche sempre più complesse e opache.
Per ora restano aperte molte domande e poche certezze, mentre la Guinea-Bissau e i suoi cittadini attendono di conoscere il proprio destino in un contesto fragile, dove le prossime mosse dei protagonisti potrebbero determinare gli anni a venire.
